Tutti conoscono il potere di una buona colonna sonora per indurre la concentrazione o lo studio. O anche solo per passare serenamente una cena tra amici.

Ma forse non hai mai pensato che le cuffiette che ti metti prima di iniziare il tuo workout quotidiano sono uno strumento che realmente migliora le tue performance. Quindi, qual è la correlazione tra sport e musica?

Cosa dice la scienza

Innanzi tutto bisogna chiedersi se è vero che la musica migliora le nostre performance sportive, o se è solo una percezione. Ne è assolutamente convinto il medico Costas Karageorghis, attualmente ricercatore presso la Brunel University, a Londra.

Un esperto nel settore, che in una ricerca pubblicata nel 2011 sulla Rassegna internazionale di psicologia dello sport e dell’esercizio fisico descrive tutti i benefici della musica applicata allo sport.

Per sintetizzare: la musica è “ergogenica”. Ciò significa che “fa venire voglia di fare le cose”: in sostanza, il cervello innesca reazioni fisiologiche nei muscoli. Quindi sì, le performance migliorano davvero. Migliorano al punto che il dottor Costas è stato scelto come consulente per la colonna sonora della Run to the Beat half-marathon di Londra.

Ci sono diversi tipi di ritmo

La velocità del ritmo si percepisce istintivamente, perché il nostro orecchio è ormai abituato a sentire canzoni su diverse piattaforme, in diversi ambienti e pressoché ogni giorno.

In musica il ritmo si misura in bpm, “battiti per minuto”. I bpm sono noti al grande pubblico degli atleti dilettanti, perché si usano anche per la misurazione della frequenza cardiaca, e non è un caso che l’unità di misura sia la stessa.

Infatti se durante un allenamento sportivo la frequenza musicale è impostata correttamente, è addirittura possibile modificare lo sforzo muscolare, e con esso la frequenza cardiaca.

Ma visto che c’è anche chi ascolta Vivaldi durante il workout, va fatta una precisazione: l’abbinamento tra battito cardiaco e musica può essere di due tipi, asincrono e sincrono. Quando il rapporto è asincrono, la musica compare in “sottofondo” e dà un generico benessere psicologico.

A volte invece il ritmo musicale si avvicina a quello del nostro battito, e noi tendiamo istintivamente verso un “sincrono”: ciò significa che siamo spinti, spesso inconsciamente, a svolgere movimenti che sono a ritmo di musica. Vivaldi a questo punto potrebbe non essere più adatto.

Come si sceglie il ritmo giusto

È evidente a questo punto che un atleta può spingere consapevolmente il proprio battito ad andare al ritmo della musica “giusta”. A scegliere il ritmo giusto ci aiuta il dottor Costas Karageorghis con alcuni consigli pratici.

All’inizio, scegliete la musica con un ritmo relativamente lento in modo da non consumare troppa energia psicologica. Scegliete però canzoni che vi stimolino, per il testo o perché vi piace l’artista.

Man mano che l’allenamento procede, è buona cosa cominciare a abbinare il ritmo della musica al vostro ritmo cardiaco di lavoro. Le bpm ottimali sono circa il 5% in più rispetto alla frequenza cardiaca di lavoro. Fermatevi ai 140 bpm, o rischierete un “effetto tetto”: continuando a salire non migliorerete la vostra performance, ma vi stancherete e basta.

Adesso vi chiederete… Come calcolo il ritmo di lavoro? Una soluzione è farsi filmare da un amico, e solo in un secondo momento cercare la musica che si abbina al ritmo del vostro movimento. E se non siete interessati a migliorare le vostre performance… Avete una scusa in più per continuare ad ascoltare buona musica!

Vi sarà capitato, almeno una volta, di uscire con un gruppo di amici o colleghi appena conosciuti. Forse vi sarete accorti di quel ragazzo che fa sempre un mucchio di domande riguardo il luogo in cui organizzerete la cena.

Lui è quello che alle grigliate non viene mai, e che se viene si porta qualcosa da casa. Si tratta sempre di cibi con dei nomi impronunciabili, come seitan, quinoa o tempeh. Cosa sarebbe questo tempeh? E perché quel ragazzo rifiuta sempre il formaggio sulla pasta e il tiramisù a fine pasto?

“Hai qualche allergia?” gli chiedete, dopo averlo visto ordinare l’ennesima pizza alla marinara. Lui si gira, vi sorride, e con un pizzico di condiscendenza vi dice: “No, sono solo vegano!”
Cala il silenzio. Gli altri commensali si voltano verso di voi.

L’hai combinata grossa, dicono i loro sguardi. Adesso comincerà a spiegarti che gli animali sono amici e non cibo, che gli allevamenti intensivi sono il male, che la carne rossa provoca il cancro! Invece quel ragazzo non dice niente. Abbassa la testa, afferra una fetta della sua pizza senza mozzarella e si mette a mangiarla di gusto.

Le domande degli onnivori ai vegani

Il vegetariano, pur non consumando carne e pesce, non disdegna miele, latte, uova e maglioni di lana. Il vegano invece esclude dalla propria vita qualunque cosa provenga da un animale, diminuendo drasticamente il proprio impatto ambientale.

Possono esserci molti motivi dietro questo stile di vita: etica, salute, religione ed ecosostenibilità. Un vegano, nel corso della propria vita, si ritroverà spesso a spiegare ad amici e parenti le proprie motivazioni, soprattutto a quella nonnina che insiste col preparargli la pasta al tonno, perché tanto “non è carne”.

Non importa quanto un vegano possa mostrarsi felice della propria scelta e parlare con orgoglio dell’anidride carbonica che non è stata emessa nell’atmosfera grazie alla sua dieta, prima o poi il conoscente curioso di turno (e non si tratta quasi mai di un dietologo o di un nutrizionista) inizierà a domandare: dove prendi le proteine? Sei pallidino… Non ti manca il ferro? E la vitamina B12?

Il vegano, con un sorriso più o meno sincero, può rispondere di assimilare le proteine e il ferro da legumi e sostituti della carne (quei cibi dai nomi impronunciabili). La vitamina B12 è presente in molti cibi fortificati oppure negli integratori, così come l’omega 3.

“Sì, ho capito” potrebbe rispondere a quel punto l’onnivoro. “Ma vuoi mettere una bistecca vera con una di seitan? E poi cosa credi, che le piante non abbiano sentimenti?”

La risposta dipende molto dal livello di autoironia del vegano in questione. Può andare da un semplice: “Non lo so e non mi interessa”, fino al “Certo che ce li hanno! Per questo io mangio solo i sassi!”

Cosa mangia davvero un vegano?

Ci sono vegani che mangiano quotidianamente pasta al pomodoro, insalata e frutta, mentre altri pranzano con spaghetti al pesto di spinaci, cavolfiore speziato arrostito e tortino di mele cotto in forno.

Molto dipende dalla voglia di cucinare del singolo, come in qualunque tipo di dieta. Per gli onnivori curiosi e i vegani/vegetariani in cerca di ispirazione, Intenet è sempre la risorsa più preziosa, soprattutto quando si tratta di cercare una video ricetta: https://www.wearesovegan.com

In fondo, un vegano non può mangiare una fiorentina, ma non è detto che un onnivoro non possa apprezzare una lasagna al ragù di soia!

Fondato su una filosofia alternativa di ‘lavoro’, lo smart working, o lavoro agile, si sta dimostrando davvero vantaggioso. Sono di natura diversa i punti positivi di questo sistema lavorativo tanto in voga.

Secondo una ricerca del 2019 condotta dall’Osservatorio Smart Working della School of Management del Politecnico di Milano, i vantaggi più rilevanti hanno a che fare con il miglioramento dell’equilibrio tra vita professionale e privata, da una parte, e con la crescita della motivazione e del coinvolgimento dei dipendenti, dall’altra.

Nonostante la soddisfazione generale nei confronti dello smart working (attribuibile al 76% dei lavoratori), non bisogna tralasciare quelli che sono i punti critici di questa nuova forma intelligente di lavorare. In questa sede, ad esempio, ci focalizzeremo sugli effetti causati dalla sedentarietà.

L’importanza di fare yoga mentre lavoriamo da remoto
Se è vero che lo smart working potrebbe diventare una buona abitudine, è anche vero che abbiamo bisogno di trovare un modo per far fronte alla riduzione drastica di movimento fisico, che, come sappiamo, potrebbe causare un forte stress emotivo.

Passiamo tante ore seduti alla scrivania, rispondendo alle varie e-mail, inserendo dati nel computer o partecipando a videoconferenze. Capita anche di restare fermi nella stessa postazione lavorativa fatta in casa per più ore di quante ne avevamo programmate in principio: talvolta nemmeno una pianificazione giornaliera accurata del lavoro può aiutarci a non cadere in questo tranello!

Una soluzione efficace che ci permette di distrarci e di lasciar respirare la mente è lo yoga. Essendo appassionati di questa disciplina multifunzionale, vogliamo condividere di seguito alcuni esercizi semplici e accessibili a tutti. Tutto ciò di cui avete bisogno è un tappetino da yoga o un asciugamano.

Il saluto al sole

Avete mai sentito parlare della posizione del cane e di quella del cobra? queste sono soltanto due delle 12 poses che compongono la sequenza dell’Hatha Yoga conosciuta con il nome di Surya Namaskar, o saluto al sole. Secondo la tradizione induista, il sole rappresenta l’anima di tutti gli esseri viventi, per cui è giusto onorarlo. Per questo motivo, questa sequenza motoria dedicata al sole è carica di simbolismo e spiritualità.

Sono tante le versioni praticate, ma tutte includono esercizi di allungamento, contrazioni e affondi. Si tratta di un’attività motoria che attiva i muscoli delle gambe, dell’addome, delle braccia e della schiena. Insomma: una sequenza completa e per lo più perfetta per coloro che non hanno tanto tempo a disposizione.

La respirazione, durante questa pratica così come durante qualsiasi sessione yoga, non è un dettaglio da tralasciare; è, anzi, una parte fondamentale. Ad ogni posizione, infatti, corrisponde un numero di respiri. In particolare, bisogna respirare (inspirando ed espirando dal naso) prima 3, poi 5, ed infine 7 volte.

Controllo ritmico del respiro

A proposito di sequenze di respiri, un altro esercizio yoga ideale per coloro che, lavorando da remoto, sono vittime di un senso di isolamento e di stress emotivo, è il Pranayama. Che cos’è? una pratica che non è volta al movimento, ma è basata su semplici esercizi di respirazione di vario tipo.

Il Pranayama ci aiuta a osservare le nostre emozioni, attraverso il controllo del respiro e della mente, e a ridurre le tensioni mentali. Respirando possiamo davvero rilassare mente e corpo.
Insomma, non vi resta che inspirare ed espirare, prima di tornare di nuovo alla scrivania!

Sono lontani i tempi in cui ci addormentavamo beati ovunque i nostri genitori ci mettessero. Il sonno profondo e appagante dell’infanzia permette all’essere umano di crescere e svilupparsi durante i primi anni di vita: lo sviluppo del cervello si completa per la gran parte, circa il 70%, dopo la nascita, e alcune fasi del sonno rivestono un’importanza fondamentale in questo processo. Ma se il sonno di un bambino è sacro, quello di un adulto non lo dovrebbe essere meno.

È risaputo infatti come la carenza di sonno possa portare con sé molti problemi nel lungo periodo, oltre ad avere effetti immediati sulle funzioni cerebrali e la produzione di ormoni. Molte persone sperimentano difficoltà in tutte le fasi del sonno: addormentarsi, mantenere il sonno durante la notte, svegliarsi all’ora giusta e non prima del tempo, alzarsi dal letto alla mattina con sufficiente energia.

Melatonina, l’alleata di Morfeo

Negli ultimi anni se n’è fatto un gran parlare: la melatonina è diventato uno degli integratori più diffusi e utilizzati per migliorare la qualità del sonno. Eppure molti ancora non sanno che la melatonina il nostro corpo la produce in autonomia; per questo motivo possiamo attuare alcuni accorgimenti per favorirne la giusta produzione da parte della ghiandola pineale. Innanzitutto, seguire le orme di Dracula e creare il buio totale in camera da letto.

In condizioni di scarsa luminosità, infatti, la ghiandola pineale incrementa la produzione dell’ormone melatonina. Dire che quest’ultima favorisca il sonno è riduttivo: essa regola il ritmo circadiano del sonno-veglia. Valori normali di melatonina ci aiuteranno dunque a godere di un sonno regolare, e la regolarità è la prima amica dell’energia. Difatti, per sentirsi pieni di energia al mattino occorre anche rispettare i propri ritmi: andare a letto e svegliarsi più o meno sempre alla stessa ora.

Un ambiente ovattato

Certamente, il buon sonno va aiutato. E il buon sonno è ciò che ci permette di ricaricare le energie, fisiche e mentali: i disturbi psicologici e dell’umore sono strettamente legati a una scarsa qualità del sonno.

Il buio è solo uno degli elementi da considerare quando si prepara la stanza per la notte; è importante anche assicurarsi che non ci siano fonti di rumore, che la temperatura della stanza non sia elevata e che ci sia il giusto grado di umidità.

Va da sé che, se non è possibile ottenere queste condizioni, dovremo metterci una pezza: fortunatamente mascherine da notte e tappi per le orecchie sono ormai accessori diffusissimi.

Del resto, se si riesce nell’impresa di dormire in aereo durante un lungo viaggio, adeguare l’ambiente domestico per favorire un sonno ristoratore è decisamente alla portata di tutti.

Disconnettersi prima di dormire

Ultimo elemento che vale la pena considerare per garantirsi una bella dormita: la disconnessione. Almeno un’ora prima di dormire spegnere qualsiasi dispositivo elettronico, in quanto la luce blu proveniente dagli schermi “inganna” la mente, facendole credere che sia ancora giorno e disturbando il ciclo sonno-veglia.

Una mente intenta in pensieri e ragionamenti non ci permetterà facilmente di prendere sonno: il modo migliore per svuotarla? Una breve meditazione prima di coricarsi, per disconnettersi totalmente.

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